“La grande cosmetica italiana cresce facendo network” e lo dimostra l’ormai tradizionale evento organizzato dalla rivista Kosmetica, tenutosi presso la sede di Tecniche Nuove il 12 giugno, dove imprenditori e operatori della filiera cosmetica, economisti ed esperti di tecnologie digitali hanno avuto l’occasione di incontrarsi e confrontarsi.
Sono i numeri a confermare la centralità dell’evento: quattro ore di formazione, 12 relatori e una platea di oltre 180 persone, per confrontarsi sul futuro del comparto cosmetico, già eccellenza italiana che registra incrementi significativi in termini di fatturato e di export, e che può ulteriormente affermarsi e crescere puntando sulla sostenibilità e sull’industria 4.0.
Ha aperto i lavori Ivo Nardella, Amministratore Delegato di Tecniche Nuove, gruppo editoriale che racchiude quasi 54 anni di comunicazione tecnico-scientifica, con 140 pubblicazioni periodiche, 1300 titoli di volumi a catalogo, più di 200 siti verticali, l’organizzazione di decine di fiere ed eventi, con la mission di creare piattaforme multicanali di comunicazione in specifici settori professionali.
Nell’introdurre la terza edizione della giornata di approfondimento sui temi della ricerca, della produzione, del design e della distribuzione nel comparto cosmetico – in scena sotto la regia di Giovanni D’Agostinis, cosmetologo e direttore della rivista Kosmetica –, Ivo Nardella ha dato il benvenuto ai partecipanti nella “Torre della cultura” commentando: «Le PMI italiane, tra cui quelle del settore della cosmesi, hanno dimostrato in questi anni grande flessibilità: dal 2008 in poi, nonostante il mercato interno registrasse il segno negativo, hanno saputo reinventarsi incrementando sensibilmente la quota dell’export. Oggi l’Industria 4.0 e il trasferimento tecnologico rappresentano una leva competitiva per le aziende di ogni settore, ma gli imprenditori devono essere preparati a cogliere le opportunità puntando sulle risorse, sulle competenze, sulla formazione che deve essere adeguata ai nuovi sistemi di produzione e soprattutto sulla capacità di fare rete per individuare modelli imprenditoriali innovativi. Una sfida anche per le imprese che operano in settori verticali come quello della cosmesi, da sempre considerata un’eccellenza del nostro Paese, che se adeguatamente preparate possono diventare senza dubbio il punto di riferimento a livello globale.»
Gian Andrea Positano e Federica Borsa di Cosmetica Italia hanno fatto un quadro del comparto in Italia: 11 miliardi di euro il fatturato globale, +4,3% rispetto all’anno precedente; 4,7 miliardi di euro di export, con un incremento di 8 punti percentuali; una bilancia commerciale che nel 2017 ha toccato i 2,5 miliardi di euro e una filiera che analizzando tutti gli anelli della catena (ingredienti, macchinari, imballaggio, prodotto finito) vanta un fatturato complessivo superiore ai 15,7 miliardi di euro (+4,8%). Attenzione puntata sulla competitività delle aziende cosmetiche del nostro Paese – resa possibile dalla capacità di intercettare e comprendere le evoluzioni del mercato – e sull’importanza di investire sulla sostenibilità, ciò che ripaga l’azienda in termini sia di benefici economici sia reputazionali.
“Cosmetica tra l’artificialità del bello e del vero nel ciclo del vivente” è il suggestivo titolo della relazione di Valentino Mercati, presidente e fondatore di Aboca. «Le nuove tecnologie – ha affermato – ci offrono sempre più strumenti per leggere come l’artificialità possa essere contraria al ciclo del vivente fino a mettere a rischio la nostra sopravvivenza. In azienda abbiamo introdotto la valutazione delle sostanze utilizzate in cosmetica per comprendere aspetti della loro tossicità, ma anche della loro biodegradabilità nell’ambiente, riflessioni che possono anche essere allargate a processi o prodotti. L’industria dell’apparire è sempre più in evoluzione e dovrà sempre più combattere la sua stessa artificialità».
Germano Scarpa, Ceo di Biofarma, ha raccontato come la società che dirige abbia saputo evolvere nell’era del 4.0, tra terzismo e sostenibilità, condividendo la propria esperienza e proponendosi come modello virtuoso per le altre aziende del settore.
“People & Planet First” è stato il filo conduttore dell’intervento di Domenico Scordari, presidente e Ceo di N&B – Natural is Better. «Innovazione e sostenibilità sono una combinazione vincente. Il comparto è in grado di adottare soluzioni produttive fortemente orientate alla sostenibilità». Per esempio, ha raccontato: «Nella scelta di seguire e sviluppare, dalla produzione agricola delle materie prime al prodotto finito, tutto il processo produttivo nel Salento, una terra straordinaria e ricca di bellezza, e insieme di privilegiare fornitori italiani c’è l’idea di premiare il Made in Italy e di stimolare le nuove generazioni a guardare l’agricoltura come opportunità di lavoro. Ma da qui si crea una sinergia positiva tra il team aziendale, i fornitori e i clienti, che condividono la stessa attenzione verso la sostenibilità ambientale e verso valori etici, che concorrono al risultato: prodotti costruiti mettendo la persona e il pianeta al primo posto».
Tra le eccellenze della cosmetica italiana, il comparto dei produttori conto terzi sta diventando un gioiello del Made in Italy, con un fatturato in crescita +8,5% nel 2017 e una propensione all’export pari all’80% della produzione. «Il terzismo è una delle forze in ascesa di questo settore – ha osservato Renato Ancorotti, fondatore e presidente di Ancorotti Cosmetics. – Perché i terzisti italiani in campo cosmetico sono così apprezzati all’estero? Al di là della qualità manifatturiera, che distingue trasversalmente il Made in Italy nel mondo, ciò che fa la differenza è la ricerca e sviluppo, che li rende non semplici produttori, ma veri e propri total solution providers». Nel settore cosmetico, le aziende conto terzi si caratterizzano anche per la flessibilità e per essere largamente orientate agli investimenti nelle tecnologie produttive.
Consapevolezza in merito alla centralità della raccolta dei dati e loro rielaborazione e gestione per guidare le scelte organizzative quotidiane, secondo un approccio razionale ed efficiente, è il tema su cui ha incentrato il proprio intervento Andrea Radaelli, New Technology Manager di IDM Automation. «Industria 4.0 non è solo robotica, intelligenza artificiale o rinnovo totale degli impianti, ma è utilizzare le informazioni che si hanno per programmare in modo migliore e ragionato il quotidiano, dagli interventi di manutenzione predittiva all’ottimizzazione dei turni. I benefici degli investimenti 4.0 non si riducono quindi ai soli risparmi fiscali, ma riguardano soprattutto l’efficientamento, che si traduce in competitività». Il concetto di industria digitalizzata è sempre più agganciato ad aspetti di responsabilità sociale, che riguardano in primis l’occupazione e il miglioramento delle condizioni di lavoro, in cui l’attività delle macchine si integra a quella degli addetti: «È il concept di Società 5.0 già lanciato dal Giappone – ha richiamato Radaelli, riferendosi alla policy elaborata nel 2016 da Keidanren, l’associazione degli industriali del Sol Levante – il cui scopo primario è mettere al centro l’uomo e, intorno a lui, le tecnologie collaborative come i co-robot, notifiche proattive e realtà aumentata per assisterlo e coadiuvarlo in tutti i livelli del processo. Le tecnologie della digitalizzazione 4.0 hanno il fine di migliorare il lavoro dell’essere umano creando più tempo utile alla sua crescita o attenzione ai dettagli che si trasformano in qualità. Non sostituire l’uomo con il robot per risparmiare, quindi, ma potenziarlo per efficientare la produzione, secondo un nuovo senso di responsabilità sociale che un corretto approccio 4.0 si prefigge di ottenere. L’essere collaborativi vale anche a livello di catena di fornitura, con il superamento del tradizionale concetto di concorrenza: macchine di diversi produttori, oggi, devono tutte poter dialogare e cooperare».
E sul tema di innovazione tecnologica – laddove l’attenzione è puntata su ciò che si produce – e innovazione sociale – con il focus su come si produce – è tornato Stefano Zamagni, professore di Economia Università di Bologna e Johns Hopkins University: «Nell’attuale fase storica, se l’innovazione tecnologica non si accompagna all’innovazione sociale e avviene nel dispregio dei valori umani, i rischi di degenerazione sono notevoli. L’innovazione sociale è strettamente connessa alla disruptive innovation e le consente di esplicare i suoi effetti. Deve cambiare il modo con cui si lavora dentro l’organizzazione, per modificare le relazioni all’interno dell’impresa stessa. Un esempio di innovazione sociale è il Toyotismo giapponese, basato sull’idea dell’abbattimento della gerarchia d’impresa. Se le precedenti organizzazioni – dal fordismo al taylorismo – avevano puntato sulla struttura piramidale con un capo che decide la strategia e trasmette gli ordini, nel Toyotismo, la piramide è rovesciata e tutti – dai manager ai quadri fino agli operai – devono contribuire a fornire idee e progetti: l’innovazione prende corpo grazie al contributo di tutti. Altri esempi di innovazione sociale sono quelli della sociocrazia e della holacrazia, nei quali si passa dalla autorità gerarchica alla leadership».
Di sviluppo sostenibile, inteso come nuovo concetto di “benessere”, ha parlato Marco Vassallo, presidente del CdA Complife Italia. «La sostenibilità non è uno stato immutabile, è piuttosto un processo continuo – ha affermato – che richiama la necessità di governare e garantire una interconnessione completa fra i suoi tre pilastri fondamentali: ambientale, economico e sociale. La richiesta di sostenibilità è crescente nel personal care e gli impatti delle diverse fasi possono essere molto differenti lungo il flusso della catena del valore, dalle materie prime al packaging fino alla fase di utilizzo e fine vita: materie prime rinnovabili, ecodesign del prodotto, riduzione dei consumi in produzione e degli scarti, biodegradabilità del prodotto, riciclabilità del packaging. Su tutti questi aspetti si può agire e ogni organizzazione deve valutare tutte queste fasi e affrontare quelle più significative per i propri processi».
È Ivan Pagin, technical sales manager di Indena, a raccontare come il futuro della cosmesi, che da sempre attinge alla natura, sarà sempre più «orientato a un’aumentata richiesta di naturalità che comprende molteplici aspetti: oggi l’idea di naturalità si sta ampliando a includere concetti di sostenibilità ambientale e sociale che prima non erano necessariamente considerati. I concetti di ABS (Access and Benefit Sharing) e il protocollo di Nagoya fanno parte anch’essi del complesso quadro dell’approvvigionamento di materie prime vegetali, rappresentando un’importante opportunità per sviluppare gli aspetti di sostenibilità sociale e ambientale di questo tipo di forniture».
Riccardo Busetto, giornalista e responsabile della rivista Industrie 4.0, torna sul concetto di Industry 4.0 che «è alla base dell’attuale ripresa industriale e che, nel determinare una trasformazione globale nelle attività produttive, è destinato a toccare profondamente anche ambiti tradizionalmente molto lontani dall’idea classica di produzione industriale. L’attuale Piano Nazionale Impresa 4.0 sta coinvolgendo – e non solo per gli incentivi economici previsti per le aziende – tutto il mondo produttivo nazionale. La cosmetica è destinata anch’essa a fare i conti con un processo di digitalizzazione delle attività produttive, logistiche e commerciali, che è inevitabilmente già iniziato».
A conclusione del convegno, l’aperitivo con sensazioni olfattive e la cena a buffet hanno rappresentato ulteriore occasione di networking e un piacevole momento di festa.